Ti ricordi di me?
N. 7 - È il titolo del mio intervento agli Accessibility Days di quest'anno e voglio condividerlo con te
Scrivo mentre sul treno la connessione è instabile, continuo a preferire i treni notturni eppure stavolta ne ho dovuto prendere uno alle 10 del mattino. È venerdì mentre ti scrivo, tu mi stai leggendo chissà in che giorno (scrivimelo, se ti va). Ieri ho fatto una cosa di cui avevo un po’ paura: ho parlato in pubblico della mia storia con l’epilessia e di come rendere accessibili i contenuti per persone epilettiche. L’ho fatto con un intervento agli Accessibility Days 2025, che si sono tenuti a Milano (Istituto Dei Ciechi) e online.
Ero sicura di piangere perché quando ho provato il discorso è successo. Invece è stato tutto molto più ironico, deciso e diretto di quanto mi aspettassi.
Ti ricordi di me è arrivato quando mi hanno chiesto di modificare un po’ il titolo originale. Ci ho pensato un po’ e sono arrivata a questo per un motivo: la mia domanda è genuina perché non sento voci, non sento abbastanza voci parlare di epilessia.
In questa coincidenza di date, l’oggetto della newsletter non poteva che essere questo. Possiamo partire!
La mia identità è fatta di intersezioni: un nodo importante è l’epilessia.
Per parlare di accessibilità voglio partire prima di tutto dalla mia storia: credo che umanizzare la disabilità, spogliarci del pietismo sia il primo passo per poter parlare di accessibilità.
Le disabilità vanno conosciute per poter rispondere ai bisogni delle persone. Ma conoscerle vuol dire ascoltare chi le vive e non pre-giudicare.
Quest’anno è sicuramente un anno importante: entra in vigore l’European Accessibility Act e c’è un faro puntato sull’accessibilità. Ma rendere i contenuti accessibili, lavorare per l’accessibilità degli spazi (tutti, fisici e non) non è solo una questione di normative: è una questione di storie da ascoltare.
Cos’è l’epilessia?
Prima di iniziare con la mia storia, penso sia il caso di lasciarvi qualche info per capire cos’è questa patologia. L’epilessia è una condizione neurologica che vive circa 1 persona su 100 in Italia (500.000 casi circa). Non esiste solo un tipo di epilessia, ma varie e diverse: per questo parliamo di epilessie. Può essere causata da fattori genetici, traumi, patologie cerebrali. Nella maggior parte dei casi, però, non c’è una causa. Si chiama epilessia idiopatica: non c’è una causa effettiva che ha portato alla malattia. Ma ce l’hai. L’epilessia idiopatica - indovinate un po’ - è la mia.
Le crisi si possono manifestare con vari sintomi: assenze, scatti muscolari, perdita di coscienza, convulsioni. Le crisi variano (e proprio per questo non si parla di epilessia, ma di epilessie): possono essere crisi parziali - movimenti anomali, fenomeni sensoriali - oppure crisi generalizzate - perdita di coscienza con convulsioni.
Ma ora vi riporto a dove ero partita.
La mia storia con l’epilessia inizia nel 2008.
Torno da una lezione di musica andata male, piango a dirotto. Mi sdraio sul divano per riposare. Da lì, il vuoto. Quando mi risveglio è come se fossi in un’altra casa, in un’altra stanza, in un’altra vita. Ci sono i miei genitori che piangono, gli infermieri che mi chiedono se ricordi il mio nome e la mia data di nascita. Io inizio a piangere. Da lì a pochi anni capirò che dopo ogni convulsione, il mio corpo risponde col pianto.
Dal 2008 al 2012 ho circa dieci crisi nel sonno e varie aure da sveglia. In parallelo, il faldone con scritto epilessia si riempie di fogli e di schede, di referti e piani terapeutici.
Inizio a seguire una terapia che sembra aiutarmi nel controllo delle convulsioni, ma l’effetto collaterale è che dormo circa 5 ore di pomeriggio e almeno 10 ore di notte. Vado al liceo e non riesco ad avere un metodo di studio, non riesco a studiare come gli altri perché c’è un farmaco che frena le mie crisi ma mi toglie ogni forza. Dormo e basta.

Mi sposto in vari ospedali e ascolto diversi medici e mediche. La mia epilessia però non ha una causa.
Vado a Reggio Emilia, poi a Pozzilli, poi a Napoli, ritorno a Benevento - dove sono stata seguita all’inizio. Tutto perché volevo solo una cosa: scoprire perché e capire come. Perché ero epilettica, come vivere da persona normale.
Ho altre due crisi, nel 2014 e nel 2019.
Pronto soccorso, violenza verbale ospedaliera, confusione. Nuovo piano terapeutico: speriamo stavolta funzioni. Nel 2019 inizio a tenere di nuovo il mio diario terapeutico e pian piano le convulsioni iniziano a sparire. Ho solo piccole aure, da sveglia, dove faccio solo esperienza di depersonalizzazione. Un po’ come guardare te stessa da fuori. Mi dicono che la mia epilessia non è più resistente ai farmaci: forse abbiamo trovato una cura che mi aiuta a non avere convulsioni.
E lì, arrivano gli effetti collaterali dei farmaci.
La mia malattia diventa invisibile agli altri, estremamente visibile a me. Per anni mi viene detto:
Devi sopportare il nistagmo, prova a vivere una vita normale.
Cos’è il nistagmo?
E un movimento anomalo degli occhi, per cui la vista non è più stabile. Gli occhi non riescono più ad avere un focus, ma si muovono su e giù oppure da destra a sinistra.
Cosa significa vivere un’intera giornata con il nistagmo?
Fare le scale della metro e sperare di non cadere;
Aumentare lo zoom al pc perché i caratteri sono troppo piccoli e si muovono velocemente;
Credere che arrivi una crisi da un momento all’altro;
Non riuscire a scrivere un messaggio, né un documento, né prendere appunti.
Prendere farmaci significa accettare eventuali effetti collaterali, perché la cosa più importante è tenere a bada le crisi. Accettare un dolore più piccolo - ma costante - per evitare un dolore più grande.
Non prendiamo quasi mai in considerazioni gli effetti collaterali di una disabilità: anche quelli, però, sono elementi da tenere in conto per una progettazione accessibile. Perché fanno parte dell’esperienza di una persona e ne disegnano i contorni.
Durante questi primi 17 anni di epilessia sono varie le barriere che ho incontrato: barriere fisiche, barriere sociali, barriere digitali. Tra le barriere fisiche luci lampeggianti o flash durante eventi, non specificati in precedenza; flash durante le foto senza che mi venisse comunicato; difficoltà a camminare dove non c’erano pedane ma solo scale o dislivelli. Tra le barriere sociali la stigmatizzazione e il pietismo, la disinformazione rispetto alla mia malattia. Bonus: una volta a mio padre hanno detto che avevo bisogno di un esorcismo.
Da quando ho iniziato a stare di più sui social e poi a lavorare sul web, ho iniziato ad avere nuove barriere, quelle digitali:
poco contrasto;
filtri instagram usati a sproposito (luci lampeggianti al massimo);
Navigazione difficile dei siti web: testo troppo piccolo elementi aestethic come sfondi in movimento;
trigger della fotosensibilità (video in evidenza con transizioni veloci, luci troppo forti, video sfondo con testo in evidenza, basso contrasto nelle immagini);
Tutto questo mi ha fatto rendere conto che nella progettazione di contenuti e spazi non si pensa alle persone epilettiche.
Sappiamo com’è una loro giornata tipo?
Sappiamo come comportarci nel caso una persona si senta male di fronte a noi? Cosa conosciamo di questa malattia?
Qualche dato:
IQVIA ha realizzato per FIE (Federazione Italiana Epilessie) un’analisi dello stato dell’arte della patologia nel nostro paese.
In Italia si stima che vivano tra le 500.000 e le 600.000 persone con epilessia: circa l’1% della popolazione. Ogni anno in Italia vengono diagnosticati circa 30.000 - 36.000 nuovi casi di epilessia.
Sono circa 129.000 le persone con epilessia che assumono più di un farmaco. Circa il 20% di loro ha meno di 30 anni.
IQVIA ha realizzato anche una raccolta dati da un sondaggio a cui hanno partecipato 284 persone con epilessia. I dati si riferiscono quindi a un campione basso, non rappresentativo sicuramente della totalità, ma le risposte e i dati ottenuti sono comunque interessanti da leggere per capire insieme cosa significa vivere con epilessia.
Solo il 5% di queste persone vive da sola;
L’88% delle persone intervistate valuta negativamente almeno uno degli aspetti legati alla qualità di vita;
L’impatto maggiore dell’epilessia si riscontra sul lavoro, progettazione di piani futuri e gestione del tempo libero;
Circa 6-7 persone con epilessia su 10 affrontano dei costi relativi a visite mediche, esami e farmaci non rimborsati.
Nel documento, non viene menzionato un aspetto: l’impatto dell’epilessia sulla propria esperienza digitale. Parliamo di quanto le barriere digitali possano spesso compromettere una buona esperienza di navigazione, partendo da un minimo fastidio fino ad arrivare a un trigger elevato.
Non possiamo oggi pensare all’esperienza di vita di una persona epilettica togliendo dalla sua totalità l’esperienza digitale. Per questo è importante sapere come si fa a rendere il web più accogliente per le persone con epilessia.
Costruire un web accessibile per persone epilettiche
Nelle WCAG 2.2 (Web Content Accessibility Guidelines), al principio 2 (il contenuto deve essere utilizzabile) abbiamo un esplicito rimando a uno degli elementi dell’epilessia: convulsioni e reazioni fisiche.
Cosa è importante ricordare:
2.3.1 Tre lampeggiamenti o inferiore alla soglia (Livello A)
“Le pagine web non devono contenere niente che lampeggi più di tre volte in un secondo. Se c’è un lampeggiamento, deve essere al di sotto della soglia di lampeggiamento e della soglia di lampeggiamento rosso”.
2.3.2 Tre lampeggiamenti (Livello AAA)
“Le pagine Web non contengono nulla che lampeggi per più di tre volte in un secondo.”
2.3.3 Animazioni da interazioni (Livello AAA)
“Un movimento animato innescato dall'interazione può essere disabilitato, a meno che l'animazione non sia essenziale per la funzionalità o le informazioni trasmesse.”
Questi sono i rimandi espliciti, ma ci sono altri elementi che è utile tenere in mente quando progettiamo l’esperienza utente e vogliamo farlo in modo equo e accessibile anche per persone epilettiche. Sono elementi che non sono direttamente collegati all’epilessia, ma danno beneficio nella navigazione.
Epilessia non è solo convulsione, ma anche stanchezza cronica, difficoltà nella vista, difficoltà nella focalizzazione.
Per questo progettare in modo accessibile per persone epilettiche vuol dire anche:
Attenzione al contrasto;
I font devono essere leggibili con una grandezza adatta anche a chi presenta effetti collaterali come diplopia e nistagmo;
Se scegliamo di inserire dei video in homepage con testo in sovrimpressione, assicuriamoci che il testo sia leggibile e distinguibile;
I cursori devono essere sempre bene in vista;
Per ogni contenuto con interazioni, movimenti o animazioni, assicuriamoci di inserire la possibilità di metterlo in pausa.
Eppure, c’è qualcosa di sotteso a tutte le linee guida che possiamo condividere, studiare, su cui possiamo lavorare: rimettere al centro della progettazione i bisogni delle persone.
Si chiama Human Centered Design ed è il metodo di progettazione secondo cui non c’è design che tenga se non si parte dall’ascolto e dalla comprensione dei bisogni di chi userà il nostro prodotto, il nostro spazio, il nostro contenuto. Probabilmente avete sentito parlare di Inclusive design, ma io preferisco ritornare al più ampio human centered perché ho un problema con la parola inclusione: presuppone che un gruppo più ampio includa e quindi apra, dia lo spazio a un gruppo più piccolo. Preferisco parlare di equità o convivenza delle differenze (per questo, vi rimando a Fabrizio Acanfora).
L’accessibilità non è solo conformità alle linee guida, è ascolto e comprensione dei bisogni delle persone. Troppo spesso crediamo che comprendere i bisogni di chi ha una disabilità significhi leggere per filo e per segno un documento e metterlo in atto. C’è qualcosa in più da fare: ascoltare, mettere in dubbio e capire.
Quando siamo di fronte a un nuovo spazio di progettazione abbiamo il dovere di ricordare che le persone sono eterogenee: i bisogni sono molteplici, ma ci sono bisogni più inascoltati di altri. Lì deve arrivare il nostro sentire, lì deve arrivare il nostro lavoro come atto di resistenza.
I bisogni delle persone con disabilità sono spesso relegati a eccezione di cui farci carico dopo aver progettato tutto: inseriamo un plugin qui, controlliamo un’interlinea lì e tutto è fatto. Non dobbiamo inserire l’accessibilità come contorno finale, ma come base progettuale. Non dobbiamo parlare di accessibilità solo perché ora è il momento di conformarsi alle normative. Noi dobbiamo parlarne perché ogni persona con disabilità ha diritto a fare esperienza del mondo secondo le proprie necessità, senza sentire che l’accessibilità costa, non possiamo coprire ogni bisogno.
In questo modo non facciamo altro che invisibilizzare storie di persone che vengono già disabilitate dalla società. Allora iniziamo a inserire già nei nostri focus group persone con disabilità, non per eliminare le differenze quanto per ricordarci di ogni bisogno dall’inizio.
Iniziamo a parlare di una ricerca utente davvero orizzontale. Io non sono un plugin da inserire, sono una persona da ascoltare.
Avevo e ho molta paura ancora a parlare di epilessia, ma ho scelto di farlo per un motivo: non si parla mai di epilessia.
Mi sono chiesta varie volte il motivo e le risposte che mi sono data, finora, sono queste:
non è cool una malattia i cui effetti sono brutti da vedere
pensiamo alle persone epilettiche come persone senza una propria volontà
non viene menzionata quasi mai, se non in modo pietistico, per cui se non la senti, non esiste
La mia malattia è visibile agli altri quando io non la vedo. Se la vedo io, gli altri invece si dimenticano che esiste.
Quando mi viene una convulsione, io sono assente - non esisto. Torno a vivere poco dopo, mentre per gli altri la mia vita non si è mai fermata. Quando invece soffro ma sono vigile, sveglia… per gli altri è come se la mia malattia non esistesse. Le persone hanno bisogno di aggrapparsi a una variabile vera, terrena, cruda per poterti credere. Questo è il problema delle malattie invisibili.
Perché è importante parlarne, invece?
Perché essere una persona epilettica non vuol dire per forza avere le convulsioni, così come le vediamo in tv o ci vengono raccontate. Perché attorno all’epilessia ruotano tanti altri elementi che definiscono - per forza di cose - una vita disabilitata dalla società. Perché chi ne parla di me, se non ne parlo io?
Un po’ di compagnia, nella condivisione di consapevolezza, non mi dispiacerebbe sai. Ma su questo possiamo farci un’altra puntata.
Dentro e fuori il cortile
Questa volta voglio fare un esperimento: non ho avuto il tempo di raccogliere importanti novità o importanti eventi che sorelle e compagne stanno portando avanti. Me li dici tu?
Scrivimi o commenta questa newsletter e magari lo rifacciamo nei prossimi mesi!
Una cosa importante che voglio ricordarti: continua il genocidio del popolo palestinese da parte del governo israeliano. Non smettiamo di parlarne, di condividere informazioni, di donare se possiamo.