Ridere dei meridionali
N. 4 - È una cosa che facciamo da sempre, non ce ne preoccupiamo più di tanto, ma c'è un nome per questo: antimeridionalismo.
In questo numero parliamo di Roccaraso, Dopo Festival e antimeridionalismo. Se hai perso la storia di Roccaraso e perché se ne è parlato, non preoccuparti perché te la riassumo nelle prossime righe.
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Ci sono stati momenti nella mia vita in cui sentivo sempre il bisogno di parlare dell’argomento del giorno, quello che scatenava sdegno o faceva inorridire la maggior parte di persone che mi ruotano attorno. Sentivo questo bisogno perché avevo paura di non essere all’altezza, agli occhi degli altri, se non avevo un’opinione da esternare. La cosiddetta FOMO (Fear of Missing Out) aveva toccato anche me e le mie stories erano uno spazio in cui non mi lasciavo poi così tanta libertà: volevo solo dire la mia per non restare indietro.
Questa cosa nel tempo ha iniziato a diventare un peso non indifferente, con la mia testa che era un cumulo di pensieri non ordinati ma che urlavano: “fammi uscire!”. Eppure, piano piano sentivo che non era più il caso di parlare solo per il merito di essere nella discussione. Mi accorgevo, ascoltando i miei bisogni, che non avevo voglia di parlare per forza. Ho iniziato a lasciare agli altri gli argomenti del giorno, senza la necessità di aggiungere l’irrilevante.
Faccio questa premessa perché oggi cambio per un attimo la rotta, dopo averci riflettuto tanto, solo perché mi sembra necessario affrontare questo argomento. Il cosiddetto caso Roccaraso è arrivato sulle prime pagine della cronaca, è arrivato tra le stories di divulgazione e attivismo eppure lo ha fatto di striscio, un po’ in sordina, sempre chiedendo permesso. Sempre e solo tramite le voci di persone meridionali. Perché quando c’è di mezzo l’antimeridionalismo succede questo: si fatica a prendere posizione, nonostante ci troviamo di fronte a una discriminazione sistemica che non lascia spazio a tanti dubbi.
Cosa è successo a Roccaraso, in sintesi? Tantissimi pullman pieni di persone napoletane arrivano in un weekend generando un afflusso molto più ampio del solito, a quanto pare dopo che l’influencer Rita De Crescenzo pubblica un tiktok in cui fa vedere che si trova a Roccaraso, ne fa vedere la bellezza e il bel tempo che sta trascorrendo. Queste persone arrivano approfittando di offerte e portando pranzo al sacco (per la maggior parte).
Persone troppo povere perché abbiano una dignità ai nostri occhi.

Subito dopo questo evento, arrivano fiumi di articoli di giornale che si concentrano sui napoletani e, a corollario, anche spazi televisivi in cui si parla del fenomeno. Assistiamo all’antimeridionalismo che si fa parola, tra articoli che parlano di orde di napoletani e Cruciani a Dritto e Rovescio che ci tiene a sottolineare che: “da Asiago, da Padova non ci sarebbero mai venuti!”.
Pensate sia finita qui? Invece arriva il pezzo (cantato) forte. In una puntata del Dopo Festival, Cattelan & co. cantano, sulle note di Montagne Verdi, un pezzo - parodia che ritorna sulla questione Roccaraso: si chiama “Montagne bianche” e in alcune parti dice:
Io che ho visto sempre e solo il mare, finalmente potrò sciare
a Roccaraso ogni fine settimana andrò, per un panino, tre ore in coda resterò
Alessandro Cattelan si difende ricordando che a lui piace tanto Napoli, che “con Napoli ho un rapporto splendido”, piacciono i napoletani, che questa era una parodia su come i social network possano influenzare e direzionare così tanto le persone.
Invece ciò che mi sembra chiaro è che c’è una difficoltà enorme nell’abbandonare una narrazione stereotipata delle persone meridionali e del Meridione, oltre che di ammettere il vero obiettivo di ciò che si fa.
Sui napoletani si può scherzare
Ciò che è successo è lo specchio di un’Italia che non fa i conti con l’antimeridionalismo. La parodia al Dopofestival, attraverso quella canzone, non mi sembra abbia tanto analizzato il rapporto con i social network quanto piuttosto ironizzato sulle persone napoletane, riempiendosi di stereotipi che non fanno altro che alimentare una visione distorta del Meridione. In più, questa scenetta discriminatoria si è svolta alla presenza di Rocco Hunt - visibilmente infastidito - che è una persona meridionale, campana. Ma tanto ogni persona ci avrebbe riso su, compreso lui, no? No.
Frasi come con Napoli ho un rapporto splendido (A. Cattelan) spostano sempre il focus su chi parla. Il soggetto non è mai chi viene rappresentato in modo distorto, ma chi si sente in diritto di raccontarlo. In questo modo non viene mai chiesto scusa, non c’è mai un momento di riflessione sul bagaglio di discriminazione che quelle azioni si portano: Alessandro Cattelan ci tiene a mettere al centro la sua visione, senza contemplare che possa esistere un popolo che subisce discriminazione ogni giorno e ha il diritto di spiegare come ci si sente, ha il diritto di pretendere un cambio di direzione.
Il paese dove sono nata il mare non ce l’ha, è alle falde della montagna eppure mi sembra che sia collocato in una regione del Sud Italia.
Il Sud Italia sembra solo mare perché gli occhi di chi lo guarda e lo racconta sono troppo spesso gli occhi dei settentrionali, dei turisti che vengono a bagnarsi i piedi e a fare le foto nell’acqua cristallina che tanto gli piace. Ma il Sud non esiste per compiacere gli occhi di chi lo guarda. Invece, da quando abbiamo abbandonato le politiche di inclusione sociale e lavorative, da quando abbiamo smesso di mettere al centro la popolazione locale, il turista è diventato l’unico occhio da compiacere: allora ridiamo assieme a lui di questa parodia, non fa niente che ci si scherzi, purché ritorni a Napoli al mare.
Non vogliamo turisti se non sono ricchi
Un altro punto cruciale sono i turisti napoletani, relegati a una categoria a parte. Perché i turisti sono persone che ci vanno bene soltanto finché hanno un determinato potere economico, contribuiscono all’economia del paese e hanno un accento che non ci disturba. Negli anni abbiamo costruito un modello di turismo ben consolidato, da cui non poter uscire, per cui chi arriva grazie a un’offerta e magari non può mangiare in un ristorante, si macchia automaticamente di una colpa - quella di non avere soldi.
Queste persone sono funzionali soltanto all’immagine di quella vita lenta che tanto agogniamo dalle città: per rendere il quadro caratteristico, servono i token che lo facciano volare sui social. Solo lì ci accontentiamo dell’anziano con la canotta bianca, di chi si fa il bagno al lido Mappatella, di chi sta a pesca vicino Mergellina.
I napoletani non possono essere turisti, perché devono essere figuranti di una storia che non è la loro.
Tutto questo si chiama antimeridionalismo
Una parodia “non voluta”, una narrazione stereotipata, sono questi gli elementi che contribuiscono alla crescita dell’antimeridionalismo. Non fidatevi di chi vi dice che l’antimeridionalismo oggi non esiste più perché le case alla fine ci vengono affittate.
Abbiamo un tetto sulla testa sì1, ma subiamo microaggressioni e violenze continue, siamo oggetto di scherno e fenomeno social da ridicolizzare.
Cosa ancor più grave, come ci dimostra il Dopo Festival, l’antimeridionalismo è istituzionalizzato e non viene riconosciuto. Questo succede perché non si riconosce la dimensione della discriminazione e dello stereotipo che alcune parole si portano, forti, con sé; non si ascoltano le storie delle persone meridionali, si sovradeterminano vite che non abbiamo vissuto.
L’antimeridionalismo continuerà a esistere finché, a livello di società, continueremo a utilizzare napoletano come sinonimo di rozzo, maleducato, finché continueremo a stabilire nessi causali che si poggiano su stereotipi.
E si finirà poi con un balletto di Gabry Ponte che canta “Tutta l’Italia”, tra una tarantella e una maschera di Pulcinella; ma fuori, quella maschera, non la vorrebbe nessuno.
Dentro e fuori il cortile
Uno spunto di resistenza meridionalista: Guapparia, il nuovo singolo di La Niña, in attesa del suo nuovo album in uscita a Marzo.
Ma si’ morene a Scampia aggirate ‘a capa ‘a llà2
Libreria Europa è un piccolo luogo di resistenza e amore della periferia di Palermo. Le meravigliose persone che la animano (tra cui Gea❤️) stanno organizzando la rassegna primaverile Cu veni si cunta: un salotto ai margini e hanno bisogno del nostro aiuto per farla diventare realtà. Puoi donare qui per sostenere la raccolta fondi e, se non puoi donare, condividi con le persone che conosci!
In maniera generale, possiamo dire di sì, anche se sono note ancora situazioni in cui viene negata una casa o una stanza a delle persone solo perché meridionali.
Traduzione: Ma se muoiono a Scampia, voltate la faccia.
Grazie, sorella ♥️