Un miscuglio antico
N. 3 - Dove si incontrano improvvisazione e costanza? In una domenica.
Ciao Janara!
Questo mese la newsletter arriva a gennaio e pure di domenica, un giorno con cui io litigo un po’. Perciò in questa domenica ciò che leggerai assomiglia più a un diario che a una diligente newsletter con un filo logico. Perché credo che sia importante che gli inizi siano sinceri - non giusti o sbagliati o prorompenti o chissà cos’altro: sinceri.
Tra il freddo pungente e il sole un po’ timido ho preso in mano la penna e ho iniziato a scrivere, questa newsletter viene dalla carta (seguendo la scia dei quaderni di
, maestra della carta e delle sue magie).Puoi leggerla come vuoi, ma siccome siamo tra Janare ti suggerisco di fare di domenica virtù.
Accomodati in uno spazio che ti fa pensare alla parola miscuglio, tieni vicino qualcosa da bere, metti su questa canzone a volume basso e sciogli ciò che ti lega.
Improvvisazione
Sento dentro un’immensità che si muove passando da un punto all’altro del mio corpo. Ricavo da questa mano che scrive una bella sensazione di libertà, quasi come se sperimentassi il volo. Questa scrittura mi attraversa così prepotente che non vorrei finisse mai, vorrei fosse in un luogo dove si rigenera e rigenera e rigenera. Vorrei poi avere più coraggio a mettere fuori dalla finestra la testa, per sentire un po’ di più e sentirmi un po’ di meno. Quante vite mi sembra di avere vissuto e tutte con diverse versioni di me, diverse parti di me che riconosco o forse conosco solo vivendo un giorno in più. Se si potesse trasformarsi per un attimo in qualcos’altro non so se vorrei più essere la mano che tiene o la penna che scrive.
Sono sempre stata una donna dell’improvvisazione, una persona che non ha mai tenuto caro il concetto di costanza. Da quando ne ho memoria, ho sempre fatto le cose all’ultimo, perché non riuscivo a essere costante ma allo stesso tempo volevo essere come le altre persone: non potevo permettermi di restare indietro. Cos’è la costanza per me? Me lo chiedo in questo gennaio che mi nutre di aspettative e di memoria. Ho sempre pensato di avere uno scopo preciso nella vita: andarmene dal posto in cui ero nata. Un posto piccolo, che non mi permetteva di vivere la vita che sognavo - patinata, perfetta e piena di felicità, dove non ci fosse spazio per la tristezza. Ho inseguito quello scopo per anni ed è forse l’unica cosa in cui ho messo costanza. Finché le righe si sono disabituate alla linea, si sono spezzate per seguire un universo disegnato a sprazzi. Arriva l’epilessia e divento Raperonzolo in un castello a due piani, fatto di una famiglia larga che vive in campagna. Tutte le persone attorno a me si muovono e io resto ferma: ferma in un ospedale, ferma mentre il macchinario disegna cosa fa il mio cervello. Ferma nella mia stanza, ferma al sedile del passeggero. Sento la mia identità che va sfumando e sento di non essere più brava nemmeno nell’improvvisazione. Cosa resta di me?
Questo Natale è stato particolare, è stato il primo Natale dopo l’operazione di mio padre. L’anno scorso le feste erano state in ospedale, aspettando un referto che non arrivava. Quest’anno ho deciso di passare tutte le feste comandate con la mia famiglia, per riprenderci il tempo tolto dalla malattia. Quel che ha avuto mio padre è stato improvviso: io, regina dell’improvvisazione, ho avuto paura quando non sono più stata io a muovere i fili ma è stato il tempo a decidere per noi.
Improvvisamente dopo anni mi sono ritrovata a muovermi nei cortili della frazione del mio paese. Ho visto linee che il tempo ha costruito e ho immaginato vite che si sono succedute in quegli spazi. Molte vite le ho viste da piccola: ne ricordo le mani, gli occhi, le bagnine1 portate sulla testa e la pazienza invisibile che però si percepiva. Mi sono così ricordata di tutta la mia voglia di fuggire e di quanto non ci abbia fatto i conti fino a poco tempo fa. Sono stata costante in una cosa nel tempo, vedi: la volontà di scappare.
Dove si incontrano costanza e improvvisazione? Nella riappropriazione delle tue radici. Quando percorri i cortili del tuo paese e rivedi - o vedi per la prima volta - storie dimenticate dal tempo. Quei cortili quest’anno hanno raccontato una storia, ma io più ci camminavo e più sentivo dentro che ne avrei voluta un’altra di storia. Quella originale, originaria. Quanta pasta fresca hanno impastato nelle porte di quei cortili? Quanti metri sono stati percorsi avanti e indietro? Chi ha perso figli, chi ha pianto nascosta, quanti bambini hanno disegnato la campana a terra per giocarci?
Perché non raccontiamo queste storie, mi chiedo. Mi viene tanta voglia di inventarne una ma mi fermo qui, perché non voglio storie inventate - sentirei di far male a quelle pietre dure, a quelle porte ad archi. Vorrei che questi posti ricominciassero a parlare.
Il giorno che non mi va giù
C’è una miscellanea di cose in questa lettera di gennaio, che ti arriva di domenica. Il giorno che detesto di più nella settimana. Se non immagini il perché, ti agevolo la fatica. Sofia mi ha detto: “il bello della domenica è che è domenica, il brutto della domenica è che è domenica”. Esattamente questo, niente di più e niente di meno: sento nella domenica il susseguirsi di un cumulo di emozioni che inevitabilmente si riuniscono nella paura di abbandonare la felicità, quella felicità che ritrovo nel non programmare, nell’improvvisare e lasciarmi andare. La domenica è un calendario intero per me, il buio della sera che ora arriva già alle cinque.
Ho vissuto una netta differenza nel sentire la domenica appena mi sono trasferita: a casa dei miei genitori, è sempre un giorno di comunione, di incontro e di voci alte (qualcuna direbbe che è sempre giorno di voce alta, e ha ragione). Quando tutte le persone se ne vanno via, ché il pranzo è finito, si svuota di ogni suono la casa e la domenica si fa sentire dalle ossa fino al collo, dove mi arriva la nausea in un attimo. Patisco la sofferenza dello strappo, ché attorno alle cinque del pomeriggio arriva.
Qui a Torino la domenica è stata diversa prima di tutto per la quantità di persone attorno al tavolo. Mi sembrava così strano essere in due e mettere solo due bicchieri, due forchette, preparare poco cibo. Per questo ho spesso voglia di avere gente a casa, gente a mangiare e ritardo sempre di più quello strappo, ma a un certo punto gli ospiti devo lasciarli andare.
So che torneranno però, sto costruendo il mio cortile qui e anche la domenica può diventare un giorno sereno.
In questa domenica, dopo aver scritto, si sono incontrate improvvisazione e coerenza: un atto di libertà in costante rigenerazione.
Dentro e fuori il cortile
Il 24 gennaio esce Femina, il nuovo album di Ginevra. È l’artista della traccia che ti ho consigliato nell’intro di questa newsletter. Femina è l’ascolto che ti consiglio in questo gennaio, denso e pieno di memoria.
nel mio dialetto, bagnina significa una precisa bacinella larga con i manici. Spesso le donne portavano le bagnine piene di vestiti o di acqua sulla testa, a volte tenendole proprio per i manici.
La tua descrizione della domenica e dei suoi grovigli: uguale uguale da queste parti 🤍
Io ti ringrazio per aver fatto uscire queste parole dalla carta e ti ringrazio per la tua scrittura che è viva, piena e nitida. Janare c'è da poco, ma ogni volta che ti leggo penso che ci sia da sempre, perché ogni numero è in qualche modo un ritorno in un posto del cuore. Grazie per il nostro Sud che racconti tu.